Danza

Danzare fu per me un sogno così lieve ed impossibile che ancora oggi mi emoziona verbalizzare. Il mio corpo era fermo, supporto della testa, passeggero della nave nella mia intelligenza. Ascoltavo musica piena di belle parole, testi poetici che mi ispiravano altre parole.

Le mie danze si limitarono per molti anni a girotondi di piazza dove gettavo la mia gioia insieme agli altri. L’incontro con la musica dove l’emozione supera la comprensione cominciò a farmi muovere i primi passi. In discoteca o ai concerti, ballavo ore ed ore di fila, scoprendo la gioia del corpo caldo, sciolto nell’abbraccio con lo spazio.

Ma quei luoghi bui ed infelici non venivano mai sanati dalla mia scoperta, mai contaminati dalla curiosità che le ombre ed i colori ancora mi suscitano.

A 32 anni mi iscrissi ad un corso di danza contemporanea condotto da una coetanea, veri toccasana per cominciare ad apprendere il linguaggio sincero del corpo. Tuttavia il linguaggio codificato delle coreografie stringeva il cammino in scarpe strette, io avvertivo come il mio percorso fosse ancora lungo, forse diverso. L’incontro con Maria Fux (danzaterapeuta argentina creatrice di un metodo) ed Elena Cerruto (danzatrice, corografa, danzaterapeuta, formatrice) fu tanto casuale quanto straordinario. Da quel momento il recupero dei sogni-bambina prese corpo significato e cittadinanza in me e nel percorso della mia vita.

Il fascino della danza è il movimento, andare. il gesto si libera puro o ammaliato dalla musica in un incanto che non sembra aver fine, il viaggio si compie a ritroso. L’incanto si spezza di colpo col fragore del ramo secco, l’interno sveglia la linfa mai sazia d’acqua. In questa lavagna di spazio, il gesto scrive e cancella.

È testimone di sé, autoreferenziale. In questa sorta di gioco il gesto, il movimento, si fanno complici di chi guarda e nel viaggio senza parole, la danza è un dono. È un dono per se stessi nell’esplorazione dei propri lati oscuri, un dono per l’altro da sé nello svelarsi e nel condividere.

La condizione umana occidentale è molto triste. L’ansia di dominio, la forzata condivisione di piccoli spazi, la straziante lacerazione tra il sé animale e il sé persona crea fantasmi che solo la condivisione, la comunicazione, soprattutto non verbale possono contribuire a salvare.

Danzare per gli altri è riconoscersi in quanto soggetti danzanti e divenire il tramite tra sé e gli altri. Rendere evidente l’invisibile senza verbalizzare, senza quindi renderlo schiavo delle parole troppo spesso fuorvianti. Danzare per gli altri e aprire se stessi agli altri ed invitarli a divenire trasparenti, in relazione come vasi comunicanti. Nella danza ciascuno di noi porta il ricordo di ciò che fu, di una memoria persa e collettiva prima che la torre di Babele instaurasse il dominio della parola con le sue mura e le sue prigioni.

A questa memoria, la parte più intima di sé, si rivolge chi danza. La evoca, la richiama a sé e negli altri, se ne fa tramite attraverso la realtà del corpo. Nel gesto che si dà nasce il segno dal nulla e subito si scioglie nell’altrui presenza L’occhio di chi guarda, disarmata per un poco la ragione, si fa culla del gesto, scoglio e limite della marea. Ma come lo scoglio viene modificato dalla tenacia del mare, così una danza che non persegua solo il gusto del gesto ma del segno dentro il gesto, modifica chi la esegue e chi la osserva. In questa relazione, lo scambio si fa fluido e nudo. Possiamo ammirare noi stessi riflessi negli altri, senza ansia di giudizio. Possiamo abbandonarci in noi, ritrovarci negli altri, perdonandoci.

In questo scambio si crea percorso di crescita, nulla rimane uguale quando il gesto si è dato. In questo richiamo all’intimo di se stessi cadono le maschere, le corazze ci si può donare accettando i limiti dell’altro.

© 2022 Anna Borghi / This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it. / T. 329 53 31 506
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